Un giardino di aranci fatto in casa è un testo del celebre Neil Simon, drammaturgo e sceneggiatore statunitense, considerato uno dei commediografi viventi più importanti, tradotto in tutto il mondo. La commedia è diretta da Patrick Rossi Gastaldi, uno dei nostri migliori registi teatrali, è stata adattata da Mario Scaletta, un ottimo attore che affianca il protagonista Gianfranco D’angelo e la di lui figlia, Simona D’Angelo, carina e brava. La storia racconta di un padre che lascia a New York moglie e figli e va a vivere a Hollywood, essendo uno sceneggiatore in cerca di fortuna. Fino a che arriva Jenny, sua figlia, che scombussola la sua esistenza, peraltro non proprio perfetta e…
Da vedere per passare una serata gradevole col sorriso sulle labbra, al Teatro Nuovo di Milano fino al 24 maggio. Conviene prenotarsi! Gianfranco D’Angelo mi incontra in camerino ed appare cortesissimo. Mi mette a mio agio e parliamo. Ha 73 anni ma uno spirito da ragazzo, come tutti gli umoristi che vivono dei loro sogni. Ha iniziato da giovane una carriera come impiegato dei telefoni ma poi ha scelto di dedicarsi al teatro comico, satirico e al cabaret. Era già attore da una ventina d’anni quando andò in televisione alle novelle reti Fininvest: è stato fra gli ideatori di Drive In, uno dei programmi più seguiti su Canale 5 durante gli anni ’80, per approdare alla prima stagione su Italia 1 di Striscia la notizia assieme ad Ezio Greggio. La popolarità non gli ha mai fatto perdere la testa e, quando ha cominciato a diminuire, Gianfranco D’Angelo è tornato sulle assi dei palcoscenici, che tutt’ora calca con dignitoso successo. Ha avuto due figlie, Daniela e Simona, entrambe attrici ma capaci di lavorare sempre con passione, come ha insegnato loro a fare il padre.
Che ricordi ha delle sue prime esperienze teatrali?
Risalgono anni ’65 e ’66, quando andai al Teatro Delle Arti di Roma con un testo satirico. Poi sono venuto a Milano e ho lavorato al Derby, il celebre cabaret e al Nebbia Club, quindi di nuovo a Roma al Roof e al Bagaglino. Poi, dagli anni ’70, ho ripreso il teatro con commedie importanti, dirette da Garinei e Giovannini. Ho fatto Alleluia brava gente con Renato Rascel e un giovane ma già noto Gigi Proietti. Ecco, questi sono i ricordi di mie grandissime esperienze, con grandissimi professionisti: produttori, autori, attori, come Daria Nicolodi, grandi corpi di ballo composti da 20 ballerini che ogi nessuno può più permettersi e ricordo un debutto al Lirico di Milano, dove ho provato la grande gioia di fare teatro davanti a migliaia di persone.
Bei ricordi. Molti non esistono più oggi, vero?
Capita, è vero, di parlare di colleghi e ti accorgi che molti di loro non ci sono più. Alla mia memoria vengono in mente figure come Tognazzi, incontrato al bar del Manzoni e poi, poco dopo se n’era andato. Eppure nella mente è come fossero ancora qui. Come Gino Bramieri, incontrato a Torino, che stava con la flebo in camerino. Ma non serve parlare di queste cose.
Parliamo dei giovani, allora. Cosa ne pensa?
Non posso dare una risposta, ma spero che il ricambio generazionale sia un obbligo, però io non so dire come sono i giovani.
Mi riferisco a quelli che si dedicano allo spettacolo!
Eh, vede, io lavoro tutti i giorni e mi fermo solo d’estate, quando vado in America, in Inghilterra e in luoghi dove vedere teatro, che da noi d’estate è tutto fermo per ferie. Assurdo. Così non vedo gli altri, tanto meno cosa facciano i giovani. Però ho visto uno spettacolo con il figlio di Ennio Contorti e con molti altri ragazzi, tutti davvero molto bravi. C’era pure mia figlia.
Lei ha due figlie che hanno seguito le sue orme. Che consigli ha dato loro?
Questo è il lavoro più difficile del mondo: può diventare una professione di routine o di successo oppure una grande delusione. Le mie due figlie sono molto serie e si sono dedicate da anni a questa professione ma, per fortuna, ci sono tanti altri giovani bravi con cui hanno a che fare. Non c’è solo la televisione, che sforna ragazzi senza talenti da rendere famosi.
Pensa anche lei che quando c’era meno televisione, era migliore la qualità?
Sì. La tv di oggi non ha più idee: bisogna invece agganciarsi a nuove cose, dare spazio ai giovani che però devono prepararsi con serietà. C’è molta concorrenza, bisogna studiare, siamo nel 2000! In questo mestiere c’è sempre da imparare ma ci sono molte scuole, laboratori… poi, certo, il talento aiuta molto.
Chi sceglie i testi da interpretare, lei o il regista, Patrick Rossi Gastaldi?
Conosco Patrick da tantissimi anni e siamo amici e tra l’altro lui è un bravo attore, sa dare i toni delle voci a noi che recitiamo. E’ veramente molto bravo. La scelta, in questo caso di Un giardino di aranci fatto in casa, l’ha voluta la produttrice esecutiva, Tania Corsaro, che nella passata stagione, con Indovina chi viene a cena e le sue mille attenzioni, ci ha fatto vincere il premio Biglietto d’Oro, che significa tantissimo pubblico, cioè il trionfo, per uno spettacolo. Tania si occupa di ogni cosa e ama davvero il suo lavoro, è sempre presente ogni singola sera e dipendo molto da lei se arriva il successo. E’ esecutrice, mentre il produttore può anche non sapere nulla di quanto accade in scena. Guardi, siamo ora a Milano in maggio, cioé a fine stagione eppure abbiamo avuto un bella prima, piena di gente festante che mi ha inviato almeno cento messaggini sul telefonino. E’ stato davvero gratificante!
Come è nata la messa in scena?
Tania mi ha fatto leggere questo testo di Neil Simon e ho apprezzato molto il copione, già assai bello in prima scrittura. E’ stato quindi rivisitato da me, da Mario Scaletta che vi recita un ruolo importante e da Patrick, che vi ha messo un po’ di ritmo in più. Non è che una persona oggi possa dire: ‘Voglio fare questo’, a parte forse un Luigi De Filippo o Gabriele Lavia, che fa le sue cose e le sue regie. Questa prosa, più leggera e popolare, richiede la collaborazione di tanti, si lavora in modo corale.
E’ una bella vita, come credono tutti?
Oggi tutto è carissimo, non siamo aiutati da nessuno. S’immagini quando si è in tournée e bisogna trovare gli alloggi per i tecnici, magari qui in centro a Milano. Noi abbiamo una grande compagnia anche se sul palco siamo solo in quattro e poi bisogna mangiare fuori. Uno che prende i soldi contati, come può permettersi di seguirci? E senza i nostri tecnici, che sistemano le luci, i fondali, la musica, ogni cosa insomma, come potremmo lavorare noi da soli? Se non ci aiutano le istituzioni o lo Stato, noi siamo costretti a fare pochissime repliche in giro. Ecco perché restiamo a Milano per poco, non perché il pubblico non ci vuole.
Eppure un uomo come Mike Buongiorno, a 85 anni suonati, ha dichiarato di volersi occuparsi di spettacoli per i prossimi 10 anni!
Questo aiuta a vivere. Lui lo dice ed essere ottimisti non guasta, va bene.
Cosa le piacerebbe rifare oggi?
Quello che ho già fatto no: non credo che serva riproporre il passato. Certe cose hanno un senso in un certo tempo e hanno permesso poi di fare cose nuove. Ora serve andare avanti ma sempre col rispetto verso il pubblico di qualsiasi tipo e il buonsenso. Io detesto la volgarità, ecco. E spero di essere sempre illuminato da questa stellina del buongusto per far divertire chi viene a vedermi.
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